il funzionario «buono» mette nei guai il «duro» Canterini
Michelangelo Fournier, il primo «pentito» della polizia, è un funzionario che gode di grande reputazione.
La macelleria messicana era agli atti dal novembre 2002. Il vice questore aggiunto Michelangelo Fournier usò questa definizione nel suo primo interrogatorio, e fu un'immagine che colpì, al punto che nella loro richiesta di rinvio a giudizio, datata settembre 2004, i magistrati genovesi la evocarono per contrapporla alle versioni ufficiali seguite all'irruzione nella scuola che ospitava i no global. «Quale valutazione — scrivevano — aveva portato a trasformare la scena da "macelleria messicana" descritta dal dottor Fournier nelle "evidenti e pregresse contusioni e ferite" del comunicato ufficiale diramato dalla Questura di Genova?» È anche una questione di scelta dei vocaboli, evidentemente. Perché, ripetute in aula, le parole di Fournier hanno sollevato un putiferio. E l'ammissione di aver mentito durante gli interrogatori per spirito di appartenenza, negando di aver mai visto aggressioni, inevitabilmente farà di lui il primo «pentito» di questa storia, anche se la definizione è forzata.
Michelangelo Fournier non è un ex poliziotto senza più nulla da perdere. È un funzionario che gode di grande reputazione nel suo settore, quello dell'ordine pubblico. Soltanto sabato scorso è stato lui a «gestire» gli agenti costretti a stare fermi sotto il diluvio di bottiglie e pietre lanciate contro di loro dagli anarchici nel centro di Roma. Il giorno dopo, era sinceramente felice nel leggere dei complimenti alla polizia giunti dalla sinistra radicale, compresi quelli di Paolo Cento, del quale è stato compagno di scuola. È un uomo piccolo, dallo sguardo vispo, che colleziona dischi di vinile e ha la vocazione dell'istruttore. Quattro anni fa si prese un elogio dai vertici della polizia per come guidò i suoi uomini durante gli scontri di un derby romano finito con cariche ripetute in tribuna Tevere, in una situazione classica da guerriglia da stadio. A Genova era il capo del Nucleo sperimentale antisommossa, un corpo creato apposta per il G8. Nei fatti, era il vice di Vincenzo Canterini, l'uomo che esce peggio dalla sua deposizione.
Fournier è il poliziotto che quella notte gridò «basta» agli agenti che ad irruzione ormai conclusa stavano infierendo su una no global. È accusato soltanto di lesioni e non di quel reato di falso (le molotov posticce) che costituisce il cuore del processo Diaz. Ha messo in difficoltà soprattutto la linea di difesa del del suo capo, il quale ha sempre sostenuto che alla Diaz hanno picchiato soltanto altri colleghi, ma non gli uomini del suo Reparto mobile. Le famose persone con casco e pettorina che nessuno è mai riuscito ad identificare. Disse Canterini: «Noi c'eravamo solo perché dovevamo mettere in sicurezza l'edificio, non possiamo aver fatto quelle cose perché siamo addestrati a controllare i nervi». Ieri Fournier, pur ribadendo l'intervento violento di altri agenti, ha ammesso «molti eccessi» commessi dagli uomini suoi e di Canterini. Due versioni inconciliabili, così come diversi sono gli uomini.
Calmo e riflessivo Fournier, piuttosto irruento Canterini. La deposizione di Fournier ha avuto l'effetto di riaccendere le luci sulla vicenda della Diaz, ma non incide sui temi più delicati del processo, i falsi e la composizione della catena di comando che gestì quella disastrosa irruzione. I magistrati potranno chiedersi, e lo faranno in aula, quanti altri funzionari abbiano mentito «per spirito di appartenenza». Ma le ammissioni del vice questore, che all'interno del Reparto mobile di Roma ricopre ancora gli stessi incarichi di sei anni fa, non portano rivelazioni clamorose. Si è solo aggravata la posizione di chi ha sempre negato che vi siano stati pestaggi alla Diaz. Con quell'esotico «macelleria messicana», Fournier ha semplicemente ricordato a tutti quel che accadde sei anni fa in una scuola di Genova. Chi c'era, chi arrivò subito dopo, sa che è una buona definizione.
Marco Imarisio
14 giugno 2007
(corriere.it)
Qui ci sono manifestanti, ragazzi e ragazze innocenti e inermi,
che hanno rischiato di perdere la vita in questo assalto-massacro.
Che si ricostruisca la catena di comando e si appurino le responsabilità.
Se le responsabilità verranno confermate durante il processo,
che si faccia giustizia questa volta e ci si liberi di personaggi
come questi, anche nell' interesse stesso della Polizia e delle
altre forze dell' ordine.
Se ci tengono a continuare a definirsi democratiche e ad avere
un' immagine postiva presso i cittadini e l' opinione pubblica.
A meno che non preferiscano lo "spirito d' appartenenza", che
a quanto pare ha prevalso fino a ora.