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27/06/2023
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27/06/2023
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Gli arrivi di Ronaldo, Benzema, Kanté son parte di un progetto ambizioso: farne il centro planetario del calcio di alto livello del futuro
GQ Sports
di
Francesco Paolo Giordano
25 giugno 2023
Rúben Neves è stato a lungo il desiderio di mercato di molti. Ad appena 17 anni, ha debuttato in
Champions League
con il Porto, diventando il portoghese più giovane di sempre a giocare nella competizione (primato superato in seguito da Rodrigo Ribeiro). A vent’anni aveva già disputato diciotto partite di Champions, giocato una finale degli Europei Under 21 e si era imposto come uno dei calciatori più promettenti d’Europa. Al primo grande
turning point
della sua carriera era finito in seconda divisione: il potentissimo agente Jorge Mendes non si era fatto scrupoli nel portarlo al Wolverhampton, che in breve sarebbe diventato una succursale portoghese grazie alle manovre dello stesso Mendes, una specie di direttore sportivo-ombra dei Wolves.
Neves non ha più giocato in Champions League, ma si è preso la Premier League, è diventato un calciatore di spicco della sua Nazionale, è il prototipo di centrocampista ideale per molte big del continente. Dopo cinque anni al Wolverhampton, a 26 anni, nel pieno della sua carriera, per lui è arrivato il momento di cambiare: sfumato il passaggio al Barcellona, Neves giocherà nell’Al-Hilal, squadra saudita che lo ha pagato 55 milioni di euro. Una cifra senza precedenti nella storia del campionato dell’Arabia Saudita, che triplica il precedente record di Matheus Pereira, pagato diciotto milioni due anni fa.
L'Arabia come nuova destinazione per le star mondiali del calcio
L’idea stessa che il futuro professionale di Neves fosse in bilico tra Barcellona e Al-Hilal è un’anomalia.
Il Barcellona è uno dei club di calcio più prestigiosi del pianeta
; gioca ogni anno la Champions League; nella sua rosa ci sono giocatori tra i più importanti in circolazione; le sue partite sono viste da milioni e milioni di spettatori sparsi in giro per il mondo. Dell’Al-Hilal si sa poco e niente a livello internazionale. Negli ultimi sette anni ha vinto per cinque volte il campionato saudita, un torneo che, secondo il report diffuso dall’agenzia Twenty First Group, è al 58esimo posto tra i migliori campionati di calcio al mondo, poco sopra la nostra Serie C.
Sam Bagnall - AMA/Getty Images
Rúben Neves si unirà ai nuovi scintillanti condomini dell’altrimenti marginale Saudi Professional League:
Cristiano Ronaldo
e
Karim Benzema
. Nelle prossime settimane potrebbero arrivarne altri: soltanto dal Chelsea, ansioso di liberarsi di numerosi contratti pesanti dopo il più grande fallimento calcistico dell’ultimo decennio, si aspettano gli arrivi di Kanté, Koulibaly, Ziyech. Altre star della Premier, come i freschi campioni d’Europa Bernardo Silva e Mahrez, sono corteggiate con insistenza. Dalla nostra Serie A si attende lo sbarco di Marcelo Brozovic. Persino gli allenatori non sfuggono alle mire saudite: tra loro Allegri e Benítez, che però hanno deciso di restare in Europa. Prima che firmasse per
l’Inter Miami di David Beckham
, anche Leo Messi – da tempo testimonial dell’ente turistico saudita – sembrava destinato a giocare in Arabia.
Giri d’affari (e di calcio) in Arabia Saudita
No, non sta succedendo tutto per caso. Da anni, il Medio Oriente ha messo le mani sul calcio. Il Qatar che ospita i Mondiali – e che nel momento della premiazione dell’Argentina non poteva fare a meno di
avvolgere Leo Messi nel caratteristico bisht
– ha rappresentato più di ogni altra cosa lo
shift
geopolitico intorno al mondo del pallone. Da più di un decennio le famiglie reali qatariote ed emiratine possiedono due dei più grandi club d’Europa, Psg e Manchester City. Competizioni di interesse internazionale, come Supercoppe ed edizioni varie del Mondiale per club, sono state disputate più volte nell’area mediorientale.
L’Arabia Saudita vuole fare di più: vuole essere il centro nevralgico del calcio mondiale nei decenni a venire. La prima grande opera di conquista parte proprio dal campionato nazionale, che mette sul piatto contratti multimilionari per convincere i giocatori più forti del mondo a trasferirsi in Arabia Saudita. Cristiano Ronaldo guadagna circa 200 milioni di euro a stagione. Lo stipendio di Benzema e Kanté sarà circa la metà.
Per Messi era pronto addirittura un contratto da 300 milioni annuali.
Cifre difficili da pareggiare anche per i club più ricchi d’Europa (che, in ogni caso, devono fare i conti con il fair play finanziario dell’Uefa).
Yasser Bakhsh/Getty Images
Un maremoto di denaro innescato dal PIF, il fondo sovrano saudita, che nelle scorse settimane ha rilevato il 75 per cento delle quattro squadre più importanti del Paese (Al-Hilal, Al-Nassr, Al-Ittihad e Al-Ahli). «Se continuano così, il campionato saudita sarà tra i primi cinque al mondo», ha detto Cristiano Ronaldo. Il PIF, peraltro, ha già messo un piede in Europa, acquistando il Newcastle due anni fa e portandolo in Champions League per la prima volta dopo vent’anni, pur senza imitare (per ora) lo shopping compulsivo delle altre ricchissime proprietà arabe.
Mondiali,
sportswashing
e altri punti interrogativi
E poi c’è una data cerchiata in rosso: il 2030. L’anno in cui l’Arabia Saudita spera di ospitare la Coppa del Mondo. In ballo ci sono altri Paesi con cui presentare una candidatura congiunta (Egitto? Grecia?), ma a Riad hanno già individuato nel Mondiale il fiore all’occhiello di una serie di eventi sportivi tutti da ospitare nel proprio Paese – fonti governative suggeriscono che entro il 2030 in Arabia saranno disputate almeno 25 competizioni mondiali di varie discipline, compresi i Giochi invernali asiatici del 2029 (già, invernali: le ambizioni saudite non conoscono limiti). E poi, per certi versi, gli arabi hanno forzato il cambio di format della Supercoppa Italiana, che dall’anno prossimo passerà a quattro squadre: sul tavolo della Lega di Serie A, un’offerta da 138 milioni per ospitare la nuova Final Four in Arabia Saudita nei prossimi sei anni.
2030 fa anche rima con Saudi Vision, il programma avviato sette anni fa su iniziativa del Primo ministro e principe ereditario Mohammed bin Salman. Una scadenza temporale che la monarchia saudita si è posta per cercare di diversificare il più possibile i propri investimenti, riducendo sensibilmente la sua dipendenza dagli idrocarburi, e per ottenere ricadute positive su settori strategici come la sanità pubblica, le infrastrutture, il turismo, il sistema scolastico. Lo sport è chiave integrante di questo schema, e il ruolo da protagonista del PIF, che gestisce 600 miliardi di dollari e ha partecipazioni azionarie in svariate compagnie, tra cui Facebook, Disney, Boeing, lo sta a dimostrare.
ALEXEY DRUZHININ/Getty Images
C’è un’altra faccia della medaglia. «L’Arabia Saudita vede se stessa come il centro di un nuovo ordine mondiale», dice Simon Chadwick, professore alla SKEMA Business School. «Potenziando la propria presenza nello sport, guadagna legittimità». È la vecchia storia dello
sportswashing
, costruire un consenso internazionale grazie allo sport e nascondere la polvere sotto il tappeto. Nel caso dell’Arabia Saudita, la polvere è rappresentata da una monarchia assoluta islamica, dove non ci sono strutture democratiche, l’omosessualità è illegale e i diritti delle donne sono praticamente inesistenti. «Quest’anno, ci sono stati più arresti che mai per opinioni negative nei confronti del governo», sottolinea Chadwick. «Perciò la monarchia ti dice: se volete Cristiano Ronaldo, noi ve lo diamo. Ma non ci mettete in discussione».
I prossimi padroni del calcio?
Del resto, l’Arabia Saudita è un Paese innamorato del calcio, con il 70 per cento della popolazione composta da under 35. La vittoria negli ultimi Mondiali contro l’Argentina è stata celebrata con una festività nazionale. L’arrivo di Ronaldo ha fatto deflagrare del tutto questo entusiasmo. La media spettatori per le partite dell’Al-Nassr è cresciuta del 143 per cento. I biglietti delle partite, che prima costavano poco meno di tre euro, oggi arrivano a circa trenta euro. Il desiderio del governo saudita è che tutte le voci economiche crescano da qui ai prossimi anni, di pari passo con un campionato sempre più affollato di star internazionali, e che il valore del torneo possa essere triplicato grazie a ricavi e investimenti privati.
Clive Brunskill/Getty Images
La Cina ci aveva già provato negli scorsi anni, con gli arrivi dei vari Tévez, Lavezzi, Hamsik, Oscar, Pato, Hulk. Il progetto è però naufragato, anche per l’esplodere della pandemia, e non ha portato risultati nel lungo termine. L’Arabia Saudita vuole mettere in piedi un piano più ambizioso, che non si fermi al coinvolgimento di calciatori importanti. Vuole decidere il futuro stesso del calcio, un po’ come ha fatto con il golf. La creazione di un circuito alternativo, il LIV Golf, sotto la spinta di accordi economici faraonici con i giocatori, ha messo in crisi il tradizionale sistema golfistico che si poggiava sul PGA Tour. Dopo un braccio di ferro durato lo spazio di meno di due anni, il PGA Tour si è arreso e si è accordato per fondersi con l’organizzazione saudita. Anche da questo passa la costruzione di un nuovo ordine mondiale.
www.gqitalia.it/article/arabia-saudita-calcio-denaro?utm_source=pocket-ne...
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Modificato da Ignazzio 27/06/2023 17:17
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