L'intervista di Cinzia a Il Tempo
IL TEMPO
giovedì 2 febbraio 2006
L’autrice de «L’insonne» alterna l’attività letteraria a quelle di giornalista, insegnante e conduttrice radiotelevisiva
Cinzia Tani: «I miei modelli sono Zivago e Manzoni»
La scrittrice evita accuratamente i riferimenti autobiografici e lo stile minimalista
di EUGENIO ZACCHI
IL PREGIO del romanzo di Cinzia Tani, «L'insonne» (Mondadori, 429 pagine, 18 euro), è l'architettura compiuta dell'intreccio narrativo. I tre protagonisti, Max, figlio di un criminale nazista nella Berlino del 1945, Sophie, mezza ebrea, e Thomas, uno zingaro, vivono un'infanzia segnata dalle atrocità della guerra e un futuro, nella Parigi del 1960, dove il passato stenta a impallidire. Max è divenuto psichiatra, Sophie, attrice, e Thomas il titolare di un circo. E anche ora si ritroveranno sullo sfondo di inquietanti omicidi nei confronti dei quali lo stesso Max, chiamato per dare aiuto nelle indagini, è sospettato. Storia "pubblica" e "privata" si fondono in una sequenza di immagini che non risparmiano le vibrazioni più profonde dell'animo umano.
Cinzia Tani, quanto c'è di autobiografico nel suo libro?
«Assolutamente niente. La prima cosa che insegno al corso di scrittura creativa che tengo da qualche anno, è di non scrivere la propria autobiografia. Conviene tornare al romanzo di stile anglosassone, quello che coinvolge la grande storia e non le nostre piccole vicende, sebbene in ogni narrazione ci sia sempre qualcosa di personale».
A quale dei tre protagonisti è più legata?
«Questa è la domanda che faccio sempre ai lettori. Le donne preferiscono Thomas perché è il personaggio ribelle, selvaggio, trasgressivo. Gli uomini invece Max perché è intelligente, è innamorato, solido, serio, onesto. Io, naturalmente, preferisco entrambi, sarei come Sophie, mi piace l'uomo affidabile, fedele, che ti ama fino alla morte, e quello trasgressivo con cui vivi le avventure».
La sua scrittura, agile e fluida, nonché l'intera storia, hanno voluto guardare il modello dei best-sellers statunitensi?
«La mia è una scrittura di lavoro. Io limo per mesi e mesi fino a quando non raggiungo un risultato intenso nel contenuto, ma semplice, limpido e contraddistinto dal ritmo. Mi rivolgo sempre al modello anglosassone, ma a quello del passato, sull'esempio di Fritzgerald. Essenziale è l'intreccio, le atmosfere, e una scrittura semplice, fluida, ma soprattutto legata al ritmo narrativo. Quel ritmo che manca completamente alla narrativa italiana. Penso alla scrittura di McEwan o a quella della stessa Austen, piena di intensità, ma semplice e indissolubilmente legata al ritmo. Io non sono una grande appassionata di narrativa italiana, tanto meno di questo dilagante minimalismo: preferisco leggere ancora una volta Il Dottor Zivago o I Promessi Sposi. A me piacciono le storie di ampio respiro».
Quanto tempo ha impiegato per scrivere «L'insonne»?
«Impiego sempre due anni per scrivere un romanzo. Il primo lo dedico alla ricerca e alla documentazione storica: ogni descrizione e circostanza contenuta nei miei romanzi riflette fedelmente la realtà. Il secondo anno lo dedico quindi alla stesura».
Lei è anche giornalista, autrice e conduttrice di programmi radiotelevisivi e insegnante: quale predilige?
«Amo scrivere, studiare. Anche le mie trasmissioni sono sempre culturali, anche se di nicchia, insegno letteratura e quindi ogni mia occupazione, all'apparenza diversa, gira sempre su un unico interesse, la cultura. Io sono soprattutto una grande studiosa, amo dedicarmi allo studio e all'approfondimento e restituire al pubblico e ai lettori tutto quello che ho imparato».
[Modificato da Curt 02/02/2006 13.41]
[Modificato da Curt 02/02/2006 13.50]