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Scritto da: simmax 05/12/2004 16.41


Cacciari intervistato da Elsa Di Gati
Cacciari intervistato dal Baco del Millennio
Il filosofo-politico intervistato da Elsa Di Gati sull'educazione permanente, il ruolo del maestro e le recenti polemiche sul sette in condotta. La trasmissione è andata in onda il 13 marzo 2001 su Radiouno.


NB : è solo testo, l'intervista si può rintracciare mettendo la voce "Elsa Di Gati" nel motore di ricerca interno del sito Rai http://www.rai.it/RAInet/cultura






Cacciari intervistato dal Baco del Millennio

Maestri motivati e un progetto educativo. Altro che sette in condotta

Il filosofo-politico intervistato da Elsa Di Gati sull'educazione permanente, il ruolo del maestro e le recenti polemiche sul sette in condotta. La trasmissione è andata in onda il 13 marzo 2001 su Radiouno.

Tutti immaginiamo che l'educazione avvenga quando si è bambini, ma se guardiamo alla vita di tutti i giorni il problema maggiore sembra quello di rieducare i grandi. Come si fa?

Oggi nessun progetto educativo può avere una minima credibilità se non è un progetto che comprende in sé anche il problema della formazione permanente: cioè non soltanto l'aggiornamento, ma anche una ri-formazione dell'individuo e della persona. Lo sviluppo tecnico, economico, sociale, le trasformazioni culturali così rapide, obbligano tutto il processo formativo ad essere ripensato secondo questa finalità.
In Italia, a questo proposito, siamo al balbettio.


Forse dobbiamo imparare a capire che l'educazione dura tutta la vita?

Si, la formazione dura tutta la vita e soprattutto si svolge in modo complesso. L'idea classica di educazione, che i greci chiamavano "paideia", non riguardava soltanto la scuola, ma tutto il sistema di comunicazione e di informazione, tutto il processo di socializzazione del fanciullo. Adesso, questo vale diecimila volte di più.
Quindi bisogna stare attenti a non mitizzare la scuola che non dura tutta la giornata. Poi i ragazzi vanno in giro, si trovano tra di loro, conoscono grandi di un tipo o di un altro, navigano in Internet, guardano la televisione, vanno al cinema.
La formazione è un concetto estremamente complesso, la scuola incide sul 15- 20 per cento di ciò che poi una persona risulta essere. Poi, la famiglia conta sempre di meno, perché rispetto alla valanga di informazioni e di comunicazioni che investono il ragazzo la famiglia è un istituto in evidentissima crisi di identità e di senso, così che diventa molto difficile definire un percorso formativo. Bisognerebbe che si mettessero insieme intorno ad uno stesso tavolo di regia famiglia, scuola, televisione, giornali, associazioni varie che agiscono in territori determinati.
Se noi volessimo progettare davvero ciò che i classici chiamavano "paideia", cioè l'educazione del fanciullo, dovremmo operare così. Ma dove, come, chi ?


"Come, dove, chi" era esattamente quello che chiedevo a lei

I soggetti sono questi: la scuola dovrebbe essere partecipata da famiglie e associazioni. Ci dovrebbe essere uno sforzo educativo dei grandi mezzi di comunicazione. La scuola deve essere sempre più aperta al territorio. E se l'educazione è questa cosa così complessa che dicevo, in essa deve avere sempre più peso il maestro: uno che comunica e non soltanto informa su questo e su quello.


Secondo lei la scuola di oggi quanto insegna agli studenti?

Molto poco. Però l'intento principale della riforma è esattamente quello di insegnare ad imparare. Cioè non tanto ad indottrinare su cose che si dovranno poi reimparare tre, quattro, cinque volte, nel corso della vita; quanto ad aprirti la testa, cioè ad allenarla ad apprendere e ad ascoltare.
Ma per questo è essenziale un ruolo personale del maestro. Perché se la scuola dovesse informare in modo specialistico, i mezzi tecnologici sono più che sufficienti: si può fare telescuola e si sarebbe a posto. Proprio perché la scuola, oggi, innanzi tutto dovrebbe renderti disponibile a quella educazione permanente, è necessaria la presenza del maestro. E nessuna riforma che non valorizzi il ruolo dell'insegnante, che non motivi l'insegnante, che non produca insegnanti adatti a questo scopo è una riforma monca, assolutamente parziale. Ma chi parla di questo?


Per rimanere in tema di scuola, una battuta velocissima sui dati pubblicati da tutti giornali, relativi al sondaggio del Ministero della Pubblica Istruzione sul sette in condotta. Uno studente su tre preferirebbe tornare al sette in condotta. Secondo lei da dove nasce questa nostalgia di disciplina?

Non ho idea di quello che i giovani possano intendere con questo sette in condotta. Il sette in condotta è una pura fesseria. E' fare attenzione meramente al sintomo senza guardare le cause. Se un ragazzo non è motivato, non sta attento, è evidentemente indisciplinato. Le esperienze note ce lo dicono costantemente. Un ragazzo attento, motivato, che va a scuola, che ha dei professori che lo motivano, sette in condotta non può prenderselo perché si diverte a scuola.
Se non entriamo nell'idea che il ragazzo a scuola deve divertirsi, che è il momento più bello della sua vita . "Scolae" vuol dire apprendere. "Scolae" vuol dire educarsi divertendosi: è la meraviglia di questa parola. E' evidente che il ragazzo che sente la scuola come una prigione è insofferente e quindi gli dai un sette in condotta, ma a cosa serve? E' una fesseria totale questa del sette in condotta.


E la politica? Fino a che punto la politica educa un individuo e quando diseduca?

La politica è un atteggiamento. Quando insegno latino o greco devo far capire che questi meravigliosi prodotti dello spirito umano vengono fuori da conflitti, da contraddizioni, da discorsi, da lotte anche politiche.
Quando io riesco a far avvertire tutta la concretezza, tutta la serietà e la responsabilità della vera politica certo che quello è educativo. E' evidente che se io a scuola trasmetto gli show di Vespa o di Fede, certamente questo non è educativo.

[Modificato da simmax 12/11/2005 8.53]